Keynes-In un periodo di crisi la priorità è la crescita e l’occupazione

In un periodo di crisi la priorità è la crescita e l’occupazione

John Maynard Keynes(1883-1946) è stato il più importante “rivoluzionario” economista del Novecento.

La sua teoria economica,che ruppe con la tradizione liberista della issez-faire,cioè conl’idea che lo Stato non debba occuparsi di economia e lasciar fare al libero mercato, fu la base del New Deal inaugurato dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt per uscire dalla crisi iniziata nel 1929 con il crollo di Wall Street.

Keynes contrastando alla radice la teoria economica allora dominante, affermò che il livello di produzione di una nazione, il suo reddito (cioè il PIL) e di conseguenza l’occupazione, sono determinati dalla domanda.

Keynes rifiuta l’idea che il capitalismo funzioni come un sistema meccanico e quindi rifiuta l’accostamento dell’economia alle scienze naturali ed “esatte”.

Il mercato assomiglia molto ad un gioco d’azzardo in cui ogni partecipante deve indovinare il comportamento degli altri giocatori, con tutte le incertezze che ne derivano.

Per Keynes insomma il capitalismo è un cavallo imbizzarrito da domare, piuttosto che un docile cavallo a dondolo che tornerà senza alcun intervento esterno alla sua posizione di equilibrio dopo aver oscillato avanti e indietro.

“ I difetti lampanti della società economica in cui viviamo sono la sua incapacità di provvedere alla piena occupazione e la sua distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e dei redditi ”– John Maynard Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta

Keynes aveva un assillo:la piena occupazione

Negli anni‘ 30 enormi file di disoccupati andavano a ritirare il sussidio; Keynes si chiedeva come potesse accadere che nessuno si preoccupasse di far produrre qualcosa a quei lavoratori, piuttosto che pagare loro una piccola cifra per non fare nulla.

Non era solo ingiusto per loro, era uno spreco per l’intera società.

Inoltre,secondo Keynes, la graduale riduzione salariale avrebbe indotto i lavoratori a risparmiare di più, deprimendo i consumi e quindi la domanda, e annullando così i supposti effetti positivi del contenimento dei salari.

La domanda aggregata

Domanda aggregata = Consumi + Investimenti + Spesa Governativa + Esportazioni – Importazioni

Se il PIL e l’occupazione dipendono dalla domanda, per aumentarli occorrerà quindi incrementare la domanda aggregata (cioè la domanda dell’intera nazione).

Un modo per aumentare i consumi è diminuire le tasse, cosicché che i cittadini abbiano più reddito disponibile.
Diminuire però le tasse dei ricchi, come tradizionalmente ha fatto la Destra americana, potrebbe rivelarsi inefficace.

I ricchi tendono a risparmiare la maggioranza dei loro redditi.

Viceversa diminuire le tasse sul reddito dei lavoratori è molto più efficace.

Per aumentare gli investimenti (cioè la spesa delle imprese volta ad aumentare la produzione, come ad esempio l ’acquisto di nuovi macchinari) si può diminuire il tasso di interesse sui prestiti.

Se infine vogliamo aumentare le esportazionie diminuire le importazioni, possiamo diminuire il valore della nostra moneta rispetto a quelle estere (svalutazione).

In questo modo per i consumatori stranieri le nostre merci saranno meno costose, mentre quelle provenienti dall’estero verso di noi lo saranno di più.

Tutte queste politiche sono efficaci in situazioni non troppo distanti dal pieno impiego delle risorse produttive.

In una crisi arriva però un punto in cui tutto ciò non basta più.

Anche diminuendo il tasso di interesse a zero, le imprese non chiederanno prestiti e non faranno investimenti.

Anche i consumatori, se sono spaventati dal futuro, tenderanno (se il loro reddito è ancora abbastanza elevato) a risparmiare percentuali maggiori della norma.

Keynes suggerì quindi che fosse lo Stato a,fare ciò che l’economia privata, da sola, non riusciva a fare.

In particolare Keynes propose i lavori pubblici come antidoto alla crisi: strade, ferrovie, case.
Oggi potremmo aggiungere: bandalarga, assetto del territorio, energie verdi.

Keynes inoltre proponeva che lo Stato si occupasse di ciò che il privato non aveva convenienza a produrre e che monitorasse costantemente la situazione economica, non solo agendo sulla tassazione e sul tasso d’interesse, ma anche avendo sempre pronto un piano di investimenti pubblici al fine di riequilibrare il sistema economico tramite l’iniezione di domanda aggiuntiva.

Le buone politiche pubbliche tendono a ripagarsi da sole.

Ove questo non accada, Keynes stesso suggeriva di ripagare gradualmente il debito aggiuntivo una volta
usciti dalla crisi.

E’ infatti chiaro che è impossibile pensare di riuscire a pagare un debito se si è poveri.
Solo se il proprio reddito aumenta si sarà in grado di onorare gli impegni.

L’attenzione di Keynes per la domanda è parallela alla sua critica sul risparmio.

Il pensiero di Keynes:se tutti incominciano a risparmiare la domanda aggregata diminuirà.
Ma se diminuisce la domanda, diminuirà anche la produzione e l’occupazione.

Gli italiani hanno messo da parte 4.406 miliardi di euro, una cifra raddoppiata dal 1998 nonostante la crisi finanziaria e le turbolenze dei mercati registrate tra il 2008 e 2011.

Tra il 1998 e il 2018 (i dati si riferiscono al primo trimestre) sono stati accantonati oltre 170 miliardi di euro sotto forma di depositi a medio-lungo termine e 560 miliardi di risorse in monete e depositi a vista, rappresentando congiuntamente circa il 31% del totale la ricchezza finanziaria complessiva del risparmio italiano.

E’proprio di Keynes l’originale intuizione di tassare le transazioni finanziarie in modo da punire la speculazione a breve termine e favorire invece gli investimenti.

Se si ignora il problema della crescita il gettito fiscale dello Stato diminuirà e la situazione peggiorerà.

Le politiche di austerità riducono il reddito nazionale , con il risultato che lo Stato potrebbe ricevere meno gettito del previsto dalle imposte.

Quando ciò accade, lo Stato non riuscirà a ripagare il debito pubblico

Questa volta anche il FMI che sta rivedendo le prospettive di crescita.
La debole produttività e l’invecchiamento della popolazione significano che potremmo vedere una crescita bassa per un lungo periodo di tempo.

Le riforme strutturali sono necessarie in tutte le principali economie. Abbiamo urgente bisogno di aumentare la partecipazione della forza lavoro e aumentare la produttività.

Investire di più nell’istruzione, potrebbe migliorare il capitale umano e limitare la disuguaglianza di reddito nel lungo periodo, quando le differenze di produttività nella forza lavoro sono compresse.

Le riforme nell’assistenza all’infanzia aumenterebbero la partecipazione femminile alla forza lavoro.

In un periodo di crisi, insomma, la priorità è sempre la crescita e l’occupazione.

Solo attraverso di esse sarà realistico ripianare il debito pubblico.

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